Articolo (parte terza) apparso sulla Rivista:
"TERRE DEL VINO" di Aprile 2004
Recensione apparsa su www.winereport.com
Grandezza dei vini siciliani: miraggio più che realtà. Riflessioni su un libro di Andrea Zanfi
Devo subito premettere che a 47 anni suonati non ho mai messo piede in terra siciliana, e che quindi le mie annotazioni sulla Trinacria e sul libro (Viaggio tra i grandi vini di Sicilia (300 pagine, 67 euro, Carlo Cambi editore info@carlocambieditore.it) che alla sua produzione enologica lo scrittore toscano Andrea Zanfi, con la decisiva collaborazione del fotografo Giò Martorana, ha dedicato, sono solo frutto di considerazioni generali. Annotazioni di un commentatore che le vicende della Sicilia del vino si limita ad osservarle da lontano, forse avvantaggiato dal fatto di non subire il fascino di chiunque abbia visitato, anche per una sola volta, quelle terre, e di poterne pertanto parlare senza alcun tipo di condizionamento.
Devo subito esprimere la mia ammirazione per il lavoro di Zanfi, (di cui lo scorso anno ho recensito il volume, pubblicato sempre per lo stesso editore di Poggibonsi, dedicato ai Supertuscans), ed il compiacimento per l’opera di una casa editrice di provincia che ha sinora battuto sul tempo editori più titolati e potenti, pubblicando, per prima in Italia, due volumi dedicati a due delle tipologie di vini che, mediaticamente, vanno per la maggiore e che più fanno discutere.
Ciò detto, non posso non manifestare la mia perplessità, nonostante l’indubbio valore e la forte presa delle foto a tutta pagina o addirittura a doppia pagina di Martorana, che ritraggono in bianco e nero i protagonisti delle 44 aziende siciliane protagoniste del volume e a colori restituiscono magnifici scorci di una terra da sogno, circa la scelta di effettuare questo viaggio attraverso la Sicilia di oggi ed i suoi vini mediante un volume di grande formato il cui prezzo, 67 euro, ovvero 130 mila delle vecchie lire, colloca inevitabilmente il libro in una fascia da happy few, che possono spendere, per aggiudicarselo, una cifra non indifferente, anche nell’epoca dell’euro… Molto meglio forse, per favorire e innescare una riflessione critica sulle dimensioni che sta assumendo il fenomeno “vino siciliano” da dieci anni a questa parte, per capire, come osserva Zanfi “come era possibile che improvvisamente decine e decine di produttori siciliani si fossero messi ad imbottigliare vino di qualità” e “cosa avevano fatto fino a ieri” e se dietro quella miriade di etichette ci fosse “solo business o una rinnovata passione e un folgorante amore per la più nobile e qualificante professione del vignaiolo”, sarebbe stato un libro concepito in maniera diversa. E che invece della formula, già utilizzata nei Supertuscans, con tot pagine ad azienda, con i protagonisti a raccontarsi e le schede tecniche di uno o più vini, inframezzate da fotografie formato gigante delle bottiglie e dei personaggi e da scorci di paesaggi siciliani, si volesse essere una storia dell’evoluzione del vino siciliano dal dopoguerra ad oggi, e che ricostruisse i cambiamenti, le svolte, le evoluzioni, le scelte, soprattutto di mercato, fatte dal mondo del vino siciliano.
Pur con questo limite di fondo e quest’impostazione, tesa a restituire emozioni e più interessata a lasciare la parola ai produttori, più che a storicizzare, (Zanfi compie persino l’ingenuità di non fornire di nessuna delle aziende selezionate, nemmeno l’indirizzo e la collocazione geografica, i dati utili come telefono, fax, e-mail, ecc. per rintracciarla, procedendo semplicemente in ordine alfabetico, da Abbazia Sant’Anastasia a Valle dell’Acate), il libro, a saperlo leggere attentamente e decodificare, fa benissimo capire tante cose. Ad esempio, come ha scritto di recente il wine writer Stephen Brook, in un ottimo articolo dedicato alla Sicilia pubblicato sul supplemento Italy 2004 della rivista britannica Decanter, che “la forza dominante in Sicilia, vista l’indifferenza verso il concetto di Doc è rappresentata dal singolo produttore e che nonostante 3000 anni di viticoltura nessuno sia abbastanza sicuro di cosa piantare e dove”.
Questo, e l’assoluta giovinezza dell’industria vinicola siciliana, che destina alle DOC non più del tre per cento della produzione, ed inoltre una diffusa, e pericolosa convinzione di rappresentare una sorta di appendice del Nuovo Mondo in Italia, di essere una terra promessa per il vino, ed una terra di conquista per chiunque, dotato di danaro, di senso del business, di conoscenza delle tecniche del marketing e di frequentazioni dei mercati esteri, e aggiornato sulle più moderne tecniche enologiche, voglia sbarcarvi, porta oggi la Sicilia ad essere qualcosa più simile ad un grande calderone in ebollizione, un laboratorio in perenne agitazione, un vulcano sempre sul punto di eruttare, che una zona vinicola dotata di una propria identità. Capace di esprimere vini dotati di uno stile innegabilmente e inconfondibilmente siciliano.
Il libro testimonia l’esistenza di una forte e stridente contraddizione tra le belle e nobili parole di una serie di enologi consulenti interpellati, che parlano di vini siciliani che devono farsi ricordare per “la grande finezza, l’eleganza, l’equilibrio e soprattutto la <beva>, che devono “esprimere il territorio, non in chiave di esuberante e fastidiosa struttura, ma in modo elegante ed aristocratico”, essere “il risultato dell’uva da cui provengono e del territorio ove questa è coltivata”, oppure “l’espressione più pura del territorio, dei vitigni del territorio e della cultura degli uomini che lo producono”, o ancora esprimere “il fascino multiforme di una civiltà antica, misteriosa e solare”, possedendo “le caratteristiche ben precise del luogo d’Origine non uno stile internazionale”, e la realtà, concreta che è sotto gli occhi di tutti. E che anche nella larga scelta di vini delle 44 aziende selezionati nel libro vede il diffondersi sempre più massiccio di Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Chardonnay, Cabernet franc, Mondeuse, Sauvignon, spesso combinati in uvaggio tra loro, oppure, soprattutto i vitigni bordolesi o il Syrah, proposti in combinazioni, non propriamente espressioni del territorio, del genius loci, della storia vinicola millenaria di quest’isola, con il magnifico Nero d’Avola. Fortunatamente ci sono buoni Nero d’Avola non massacrati dagli eccessi di legno e da una maturità eccessiva del frutto che li rende più simili a confetture, vini dal tenore alcolico non esagerato e senza residui zuccherini furbeschi, in questa carrellata di vini siculi proposti da Zanfi, grandi Etna bianco figli del Carricante e rossi espressione del Nerello Mascalese e del Nerello Cappuccio, i superbi passiti di Pantelleria e di Lipari, i Marsala sontuosi, i bianchi sapidi base Grillo, Inzolia o Catarratto, qualche Cerasuolo di Vittoria caratterizzato dal Frappato, ma inseriti in un panorama dove la Sicilia sembrerebbe avere sbocchi di mercato solo sposando la causa del vitigno alloctono, rischiano di essere triturati in un tritacarne scandito dalle parole d’ordine modernità e stile internazionale. Un diktat che molto spesso è esteso anche ai vini da vitigni autoctoni, Nero d’Avola in primis, generando danni, contraddizioni ed equivoci la cui pericolosità, nell’euforia generale scatenata dall’arrembaggio ai mercati esteri, dai punteggi super elogiativi delle guide e dei wine writer cabernet e barrique dipendenti, non viene ancora avvertita, ma che costituisce, basta mantenere un pizzico di lucidità e di realismo, una minaccia. Situazione di pericolo che mi sarebbe piaciuto in qualche modo l’autore avesse denunciato nel suo libro…
Ecco perché, a differenza di Andrea Zanfi, non avrei di certo intitolato il libro Viaggio tra i grandi vini di Sicilia, ma, in maniera molto più criptica e involuta, ne sono consapevole, lo avrei definito come un Viaggio alla ricerca dell’identità dei vini siciliani. Un’autentica e indiscutibile grandezza, salvo rarissimi e nobilissimi casi (voglio solo citare i vini di Marco De Bartoli, gli Etna bianco di Benanti, i Nero d’Avola di Gulfi, il Rosso del Conte di Tasca d’Almerita e pochissimi altri), costituisce ancora, per moltissimi vini, un sogno e un miraggio, una meta ancora lontanissima da conseguire, che non si sa bene se e quando potrà essere raggiunta.
Franco Ziliani
fziliani@winereport.com