La loro esistenza, gli atti e gli eventi delle loro vicende – scrive l’autore – erano in qualche modo inscritti, avviluppati nella matassa di sogni che i miei organi avevano prodotto, suscitato e abitato. L’esistenza dei miei organi mi avrebbe obbligato a scrivere il libro che avevo in mente. Così come la statua della Grande madre, così come le intuizioni che volevo dettare al neonato, tutto il libro era il prodotto della mia reazione all’Apertura. Immaginavo me stesso in una sala operatoria, immaginavo di filmare il mio corpo, come se fosse un’aragosta mutilata.